STUDIO GALLUS

COORDINATORE ARCH.G.B. GALLUS

SASSARI

Salvatore Tola

 

Con Pisa e Genova. Non si hanno notizie certe sulle origini della città di Sassari. L’ipotesi più verosimile è che essa sia il risultato del progressivo ampliamento di uno dei tanti villaggi medievali, ad economia agro - pastorale, che si ritrovano nella zona collinare a ridosso del golfo dell’Asinara.

Si sa tuttavia per certo che intorno al Mille i giudici di Torres iniziarono a soggiornarvi – dapprima saltuariamente- e che la rafforzarono con un Castello (castrum Sassaris o Saxi) di cui si trova già notizia in un documento del 1118.

Successivamente la città, a mano a mano che s’ingrandiva ed acquistava importanza, fu coinvolta nella lotta in corso per il predominio su tutta la Sardegna, e nella stesso Giudicato di Torres, tra Pisa, Genova ed i giudici. Le due repubbliche marinare avevano iniziato da tempo ad introdursi nell’isola: la loro penetrazione era stata dapprima di tipo economico – aveva cioè posto le basi per i loro traffici – ma tendeva poi a divenire anche politica. In parte si accordavano, ma poi anche si scontravano, con l’autorità dei giudici, basata ancora su una legislazione medievale, legata ad un’economia chiusa, di tipo curtense.

Intanto nei centri che, come Sassari, avevano avuto più frequenti rapporti con le due città marinare, si era venuto formando un nuovo ceto borghese, di commercianti ed artigiani attivi, ed anche proprietari terrieri, aperti ai nuovi traffici, insofferenti anch’essi, quindi, della vecchia legislazioni: in questo quadro va vista l’uccisione del giudice Barisone III, da parte degli stessi sassaresi, avvenuta nel 1236.

Sotto queste molteplici spinte il giudicato andò gradualmente disgregandosi, e Sassari ebbe la possibilità di conseguire una cetra autonomia; i maggiori collegamenti in un primo periodo furono con Pisa, che inviava di un anno i suoi podestà.

Quest’importanza crescente spiega le lunghe contese tra Pisa e Genova per la supremazia sulla città: fu la repubblica ligure ad avere la meglio, dopo la battaglia della Meloria (1284). Con una convenzione stipulata dieci anni dopo tra Sassari e la città ligure, Genova si sostitutiva a Pisa, inviando a sua podestà, impegnandosi ad intervenire a “ protezione e difesa”: il patto, che mirava soprattutto a favorire l’ulteriore sviluppo dei traffici, mostra un sostanziale rispetto, da parte della potente alleata, per l’autonomia e gli ordinamenti della cittadina sarda.

 

GLI STATUTI SASSARESI. Questi ordinamenti, gli “Statuti”, ci sono noti in un testo sardo – logudorese del 1316, che certamente raccoglie norme e consuetudini in vigore sin dal periodo pisano (e la maggior parte delle disposizioni sono mutuate dalle leggi in vigore nella repubblica toscana).

Base primaria dell’economia locale era pur sempre i prodotti della campagna: il Comune, infatti, estendeva la sua giurisdizione ad un vasto territorio, comprendente le regioni allora dette Romangia, Fluminargia, parte della Nura e del Nulauro, ove si trovano più di 25 villaggi, ed in cui si praticavano la pastorizia e l’agricoltura.

Questa, che aveva che aveva avuto impulso anche per opera di alcuni ordini monastici, produceva granaglie, ortaggi, frutta, e soprattutto vino. Perciò gli statuti davano grande importanza alla proprietà agraria: tutti i cittadini dovevano prestare un giuramento (Jura de iscolcha) che li impegnava a rispettare i beni rustici ed a denunciare eventuali violazioni. Altre norme riguardavano il risarcimento dei danni da parte della comunità a favore di chi aveva subito un furto o un danneggiamento; funzionava anche una sorta di sistema ipotecario, per cui i passaggi di proprietà erano resi pubblici con bando e registrati presso il Comune.

Il governo della città era affidato, oltre che al podestà, al Consiglio Maggiore, composto da cento cittadini che tenevano la carica a vita. Il podestà veniva inviato ogni anno da Genova (un aiutante militare, un notaio, dieci armato), assommava in sé un notevole potere, ma erano previsti anche numerosi meccanismi limitativi e di controllo nei suoi confronti.

Quanto al Consiglio degli Anziani; vi era poi tutta una serie di cariche per la sorveglianza e la regolamentazione delle attività della comunità, e per la sua difesa.

Le pene che gli Statuti prevedevano per i vari delitti ed infrazioni erano miti, in rapporto agli altri ordinamenti del tempo; nel complesso, le più gravi erano comminate a quanti attentavano alla proprietà privata.

Nel periodo pisano-genovese, che giunse sino ai primi anni del XIV secolo, gli abitanti di Sassari erano già alcune migliaia: la città, racchiusa in una cerchia di mura che veniva continuamente rafforzata e sopraelevata, aveva grosso modo l’estensione e l’assetto urbanistico che avrebbe conservato fino all’inizio del XIX secolo. In questi anni si venne formando il dialetto sassarese, attraverso la fusione del logudorese con l’italiano: esso fu usato inizialmente proprio da quell’attivo ceto borghese e artigiano che aveva maggiori occasioni di scambio con commercianti ed amministratori delle città alleate.

Aragona e spagna. intanto il regno di aragona si veniva inserendo nelle lotte per il predominio del mediterraneo, incoraggiato da papa bonifacio viii, che nel 1297 aveva investito giacomo ii del titolo di re sardegna. SASSARI, ANCHE PER REAZIONE AI GENOVESI CHE MIRAVANO A RIDURRE L'AUTONOMIA, si formò un gruppo filo-aragonese, guidato dal notabile Guantino Catoni il quale, convinta una parte del Consiglio Maggiore, inviò nel 1321 un’offerta di vassallaggio al sovrano aragonese che si accingeva alla conquista dell’isola.La spedizione fu guidata dall’infante Alfonso che si affrettò ad inviare a Sassari un governatore. Ma fu subito chiaro che i nuovi alleati miravano ad un rigido controllo degli organi locali di governo, sicché nel 1325 si verificò una prima ribellione; gli aragonesi la repressero ed iniziarono la costruzione di un nuovo castello – che sarebbe più opportuno chiamare fortezza – per sorvegliare meglio la città ribelle.Si aprì così un lunghissimo periodo di lotte, che si videro in campo, oltre agli aragonesi a Genova, i giudici d’Arborea, che tentavano di salvaguardare la propria autonomia, e riuscirono anche ad impadronirsi di Sassari, per due brevi periodi. Il dominio aragonese si consolidò soltanto a partire dal 1420, mentre veniva rafforzandosi sempre più quella cerchia di nobili – dei quali molti giunti dalla Spagna – che godevano di privilegi e traevano i loro proventi dai feudi che venivano loro concessi: mentre andavo prendendo forma un regime di tipo feudale, l’economia, già danneggiata dal lungo periodo di lotte, dalla peste, dalle carestie, entrava in una fase di stasi.

A questo processo, comune a tutta la Sardegna, Sassari riusciva tuttavia, in una certa misura, a sottrarsi: gli stessi contrasti per il suo possesso mostrarono che la sua importanza aumentava, tanto che contendeva a Cagliari il primato dell’isola. Teneva il controllo dei traffici in tutta la parte settentrionale della Sardegna, e la presenza dei feudatari era motivo di benessere e potenza. Nel 1438 la sede arcivescovile fu trasferita da Torres a Sassari.

Il nuovo contesto mediterraneo del XVI secolo, caratterizzato dalla sempre più massiccia minaccia turca e barbaresca – le incursioni piratesche contribuirono in misura notevole alla decadenza del porto di Torres – con l’emarginazione della Sardegna dalle grandi rotte commerciali, portarono ad una progressiva crisi dell’economia e della crescita della città. A ciò si aggiunsero le pestilenze, una delle quali, nel 1528, avrebbe provocato solo a Sassari, a detta di scrittori del tempo, non meno di 15 mila morti. Poco prima, tra la fine del 1527 e l’inizio del 1528, si era avuta, nel corso delle lotte tra Francesco I e Carlo V, una breve occupazione da parte delle truppe francesi, che si erano abbandonate al saccheggio della città.

Da tempo si tentava di istituire a Sassari l’Università. Questa aspirazione ebbe una prima risposta grazie ad un cospicuo lascito di Alessio Fontana, sassarese, alto funzionario alla corte di Carlo V e di Filippo II: furono i gesuiti che, provveduto ai locali, diedero l’avvio nel 1562 ad uno “Studio Generale” con gli insegnamenti di umane lettere e filosofia. Agli inizi del 1600 fu introdotta l’arte della stampa.

È a questo punto che si registra un primo, notevole incremento della coltura dell’olivo. All’interno della comunità cittadina prendevano importanza le categorie artigiane e dei lavoratori della terra che si erano riunite, dietro l’esempio delle città spagnole, in una sorta di corporazioni di natura professionale e religiosa, a carattere rigido e chiuso, dette Gremi. La loro principale manifestazione pubblica, conservata sino ad oggi dalla tradizione, è la processione del 14 Agosto, nella quale vengono portati a braccia candelieri, uno per ogni categoria di lavoratori, in ricordo di un voto fatto alla Madonna durante un’epidemia di peste, probabilmente nel 1582.

Agli inizi del ‘700, in seguito alle vicende della guerra di successione spagnola, Sassari riconobbe per alcuni anni la denominazione austriaca; di questo periodo è ricordato il tentativo di ribellione contro l’imposizione dell’estanco, una nuova tassa sul tabacco, abbondantemente coltivato nelle campagne circostanti.

Ritornata brevemente agli spagnoli, la città, con tutta la Sardegna, passò poi al Piemonte in conseguenza del trattato di Londra nel 1718.

 

NEL REGNO DI SARDIGNA.  In un primo periodo, specie al tempo del re Vittorio Amedeo II di Savoia (1720 – 1730), nessun intervento fu effettuato in Sardegna, salvo una prima riorganizzazione del sistema fiscale: fu confermata la legislazione preesistente, e con essa gli Statuti sassaresi. Alcune prime misure furono adottate in maniera episodica, da Carlo Emanuele III (1730-1773), che si servì dell’opera del ministro Bogino: Sassari trasse ovviamente beneficio da tutte queste iniziative, ma più in particolare dall’incoraggiamento dato dalla coltura dell’olivo, dai lavori compiuti per il ripristino del porto di Torres, dall’intensificarsi degli scambi commerciali. In questi anni la città superò i 16 mila abitanti.

In seguito alla richiesta delle autorità locali si provvide nel 1764 a riorganizzare il funzionamento dell’Università, che aveva attraversato nei decenni precedenti una fase di decadenza e di abbandono. Malgrado alcune resistenze i nuovi insegnanti furono inviati alla penisola; tra essi erano alcuni studiosi di notevole valore, come il Cetti, che studiò la fauna dell’isola, ed il Gemelli, che nel suo celebre Rifiorimento della Sardegna (1776) raccolse studi e propose per il miglioramento dell’agricoltura isolana.

La spinta riformistica si attenuò sotto Vittorio Amedeo III (1773-1796) e tornarono a prevalere in Sardegna condizioni di isolamento ed arretratezza: questa situazione generale, unita ad una grave carestia ed alla presenza a Sassari di un governatore avido e prepotente, Allì di Maccarani, condusse i ceti popolari a ribellarsi, il 23 aprile 1780, devastando gli edifici pubblici e saccheggiando la Frumentaria e numerosi negozi. Dopo alcuni giorni fu ripristinato l’ordine, anche per mezzo di alcune esecuzioni capitali, ed il governatore fu allontanato.

Nel “decennio rivoluzionario” di fine secolo Sassari divenne il luogo di raccolta delle forze conservatrici – feudatari e religiosi -, capitanate dal duca dell’Asinara. Un piccolo esercito di democratici riuscì ad impadronirsi della città dove nel febbraio del 1796 fece il suo ingresso trionfale, inviato da Cagliari, l’Alternos Giovanni Maria Angioy. Il tentativo ancora prematuro di giungere all’abolizione del sistema feudale finì ben presto nel nulla, e fu seguito da feroci repressioni che ebbero a Sassari particolare intensità, con supplizi e impiccagioni.

Dopo la restaurazione, Carlo Felice (1821-1831) e Carlo Alberto (1831-1849) diedero impulso alla società ed all’economia della Sardegna con misure di vario genere. Sassari, nel 1807 era divenuta sede di prefettura, risentì in modo benefico della costruzione della nuova strada Cagliari – Portotorres, completata nel 1829, e quindi dei nuovi collegamenti regolari col capoluogo dell’isola e col continente, che favorirono i traffici; delle misure a favore dell’edilizia pubblica e privata; e, indirettamente, della legge sulle chiudende (1820) e di quella che aboliva il regime feudale (1836). Si registrò un certo miglioramento delle colture, stimolato anche dall’intensificarsi dei commerci; la coltivazione dell’olivo era da tempo incoraggiata in varie maniere.

Dal 1836, finalmente, malgrado le resistenze dei proprietari di immobili che si opponevano alla realizzazione di nuove abitazioni per tenere alto il prezzo degli affitti, fu dato il permesso di costruire al di fuori della cinta muraria, e la città iniziò ad espandersi nel territorio circostante.

 

DAL RISORGIMENTO A FINE SECOLO. Intanto, col miglioramento dell’economia e dei traffici, si rafforza la categoria dei commercianti, molti dei quali venuti da Genova soprattutto nel secolo precedente; altro strato sociale in via di formazione, grazie al progredire dell’istruzione e al diffondersi della nuova burocrazia, era quello che può definirsi complessivamente degli intellettuali, composto cioè da professionisti, studenti, impiegati. Quando Carlo Alberto, nel 1847, iniziò a concedere le prime riforme, essi intravidero i vantaggi che tutta l’isola avrebbe avuto con la rinuncia all’autonomia dell’antico Regnum Sardiniae: la delegazione costituitasi a Sassari per chiedere al Re la “fusione” col Piemonte, composta da Antonio Ledà, Francesco Cossu e Michelino Delitala, partì ancora prima di quella ufficiale, inviata da Cagliari. I primi deputati inviati a Sassari al Parlamento subalpino furono Giacomo Fresco, il conte Baudi di Vesme e lo storico Pasquale Tola. Quest’ultimo, capo dei gruppi conservatori, fu subito dopo battuto, nelle elezioni del giugno 1848, da Francesco Sulis, rappresentante della borghesia liberale. I gruppi democratici avevano avuto anche un loro “tribuno”, Antonio Satta, geometra, che fu più volte imprigionato per i suoi attacchi ai nobili e al clero.

Negli anni successivi al 1850, oltre che dalle polemiche tra i due opposti gruppi politici, che sfociarono in fatti di sangue tra i diversi sostenitori, e quindi in risse, aggressioni, contrasti di vario genere, Sassari fu anche da disordini causati dalle rivalità tra i diversi tra i diversi corpi militari di stanza in città e tra questi e la popolazione, che portarono nel 1852 alla proclamazione dello stato d’assedio, che ebbe risonanza anche in terraferma.

La seconda metà dell’800 vede l’ulteriore consolidamento della borghesia cittadina, composta da intellettuali, agraria, commercianti.

Le classi lavoratrici, artigiani e braccianti – i cosiddetti zappadori – sperimentavano intanto alcune forme di organizzazione politica più adeguate ai tempi, in sostituzione di quelle già attuate in seno ai Gremi, che a partire da questi anni si andavano trasformando da corporazioni in associazioni esclusivamente religiose. Nel 1851 fu fondata una società di Mutuo Soccorso; nel 1864 si ebbe un moto di piazza contro l’imposizione dei dazi al consumo; verso la fine del secolo fu costituito da operai e intellettuali un primo nucleo del partito socialista.

La città, che fondava sempre la sua economia sull’agricoltura, attraversava un periodo relativamente florido, e poté superare con minori danni di altri centri isolani la grave crisi di fine secolo, caratterizzata, oltre che dal diffondersi della fillossera (comparsa nel 1883), dalla crisi bancaria e soprattutto dalla guerra “guerra delle tariffe” con la Francia, che ostacolò per alcuni anni l’esportazione dei prodotti della terra e dell’allevamento.

Il centro abitato continuava ad espandersi, venivano realizzate la piazza d’Italia, l’attuale via Roma ed i palazzi circostanti.

La popolazione era in continuo aumento: 30 mila abitanti nel 1880, 38 mila nel 1901.

 

DALL’ETA’ GIOLITTIANA AL VENTENNIO FASCISTA. Nei primi anni del nuovo secolo si ebbe un certo sviluppo di industrie legate all’agricoltura: pastifici, oleifici, concerie.

Si rafforzava sempre più quel ceto borghese cittadino che traeva benessere e potere da queste attività e dalle professioni. A partire dai fatti verificatesi a metà ottocento si era venuta imponendo, all’interno di questo gruppo dirigente, la parte progressista di orientamento repubblicano, anticlericale, che sotto la guida di Gavino Soro Pirino, avvocato, amico personale di Mazzini e infaticabile propagandista, conquista la maggioranza nell’amministrazione locale nel 1877, la conservò sino al 1915. Protagonisti della vita politica furono, a partire dal 1891, tre giovani avvocati Enrico Berlinguer, Pietro Moro e Pietro Satta Branca, che fu per molti anni sindaco della città nel periodo giolittiano.

Questi giovani, che nello stesso 1891 avevano fondato La Nuova Sardegna, divenuto ben presto il quotidiano più diffuso dell’isola, oscillavano dalle posizioni repubblicane verso quelle radicali; allontanatisi definitivamente dal Soro Pirino, scelsero come loro guida Filippo Garavetti, anch’egli avvocato, deputato al Parlamento dal 1887, amico personale di Felice Cavallotti, gli si contrapponeva Michele Abozzi, avvocato e proprietario terriero, rappresentante dei conservatori e dei moderati, deputato di Sassari dal 1905 al 1921.

Anche la cultura sassarese fu particolarmente attiva e vivace in questo periodo antecedente lo scoppio della guerra: tra quanti la animarono vanno ricordati in primo luogo Enrico Costa, che al momento della morte (1909) lavorava alla sua grande raccolta di notizie e documenti sulla città; Pompeo Calvia, poeta dialettale, Luigi Falchi, letterato, il poeta Giannetto Masala, il giornalista Gastone Chiesi. Lo stesso Sebastiano Satta aveva fatto il suo apprendistato letterario e giornalistico in questo ambiente.

L’Università, che già aveva contribuito alla formazione dei professionisti della nuova classe dirigente, continuava ad essere centro di vivaci discussioni; ne fu rettore in questi anni Angelo Roth, anch'egli deputato progressista; tra i docenti: Enrico Besta, storico, Francesco Coletti, economista; Edoardo Cimbali, esponente del sindacalismo rivoluzionario e maestro di Attilio Defenu.

Al termine della grande guerra, e col rientro dei reduci, anche Sassari partecipò al vasto movimento rivendicazionistico  degli ex combattenti. Camillo Bellini e Luigi Battista Puggioni, direttore del giornale dell’Associazione Nazionale dei Combattenti, creato nel marzo del 1919, La voce dei combattenti, furono tra i fondatori del Partito Sardo d’Azione, all’interno del quale portavano istanze di riformismo meridionalistico di ispirazione salveminiana (e sarebbero stati fra gli oppositori del fascismo) .

A Sassari il partito di Mussolini ebbe alcune adesioni precoci, compresa quella del vecchio capo democratico Garavetti; questi fatti, che contrastano con la forma di città  radical- repubblicana del periodo anteguerra, si spiegano con la presenza di un ben preciso gruppo agrario conservatore, e soprattutto con quello che Antonio Pigliaru ha chiamato il  fascismo “strutturale” della borghesia sarda: una borghesia subalterna, priva di reale autonomia, attenta quindi a salvaguardare le proprie posizioni di privilegio e sempre più chiusa di fronte alla crescente organizzazione politica delle masse popolari.

La Nuova Sardegna, schieratasi all’opposizione nel periodo aventiniano dopo una fase filo-fascista, fu soppressa dal governo nel 1926.

Nel corso del “ventennio” continuava l’isolamento e l’immobilismo delle zone interne, mentre Sassari, come gli altri centri maggiori, conosceva l’organizzazione della vita sociale e l’uso dei mezzi di comunicazione di massa che la mettevano in sintonia col resto della penisola e trasformavano radicalmente i tradizionali sistemi di vita.

La popolazione continuava a crescere – 51.700 abitanti nel 1931 -, il centro abitato si estendeva in periferia, in particolare al “monte” Rosello, che nel 1934 fu collegato  al centro mediante l’omonimo viadotto; grazie alla politica delle opere pubbliche, adottata dal regime per tutta l’isola, Sassari fu dotata in questo periodo di numerosi importanti edifici: quello delle scuole elementari di S. Giuseppe, del liceo classico e di quello scientifico, il Palazzo di Giustizia ecc.; ampi lavori di bonifica furono compiuti nella vicina pianura della Nurra.

Nel 1939, approvato il nuovo piano regolatore, si iniziò lo “sventramento” del centro storico che, interrotto dall’inizio della guerra, non fu più ripreso.

 

IL RISVEGLIO DEL DOPOGUERRA. Nel dopoguerra fascista le élites democratiche che avevano retto la città prima della guerra si chiusero nel silenzio. I segni sporadici di un risveglio critico si ebbero solo a guerra iniziata; un esempio di opposizione, ma dall’interno dello stesso fascismo, venne dal giornale del GuF Intervento (1940-43), cui lavorò un gruppo di giovani universitari tra i quali A. Pigliare, G. Melis Bassu, A. Giagu Demartini.

Tra il giugno e l’agosto del ’43 comparvero alcuni numeri – battuti a macchina - di Avanti Sardegna, foglio di opposizione e di incitamento alla rivolta; vi scrissero uomini di diverse tendenze politiche, come Salvatore Cottoni, che sarà poi uno dei leader socialdemocratici isolani, il repubblicano Michele Saba, e Mario Berlinguer, formatosi a suo tempo nel gruppo garavettiano di ispirazione radicale, oppositore del fascismo nel ’24 e deputato aventiniano.

La città, risparmiata dalla guerra ( si registrò solo la caduta di pochi spezzoni nel maggio del 1943), superò il periodo bellico senza particolari traumi, ma la popolazione dovette superare sopportare una grave e prolungata carenza di generi alimentari, accentuata dalla presenza in Sardegna di decine di migliaia di militari.

In questo quadro vanno visti i cosiddetti “moti per il pane” che si ebbero a Sassari nel gennaio del ’44: i dimostranti agivano d’intesa con un gruppo di comunisti formatisi nella clandestinità, tra i quali si distingueva un nuovo esponente della famiglia Berlinguer, il giovane Enrico, indicato dai rapporti di polizia come “l’istigatore e il maggior responsabile dei torbidi”.

La ripresa fu molto lenta e difficile: attraversavano una grave crisi alcuni settori agricoli su cui era tradizionalmente fondata l’economia locale, come l’olivicoltura, mentre quelle piccole industrie cittadine, che all’inizio del secolo si erano opportunamente affiancate alle attività primarie, iniziavano a risentire negativamente la concorrenza delle aziende del Nord.

La larga maggioranza della media e piccola borghesia sassarese appare orientata in questi stessi anni e nei successivi su posizioni conservatrici e qualunquiste: al referendum istituzionale del giugno 1946 la maggioranza monarchica fu molto pronunciata a Sassari ( 20.205 voti contro 8.240) che non in tutta l’isola ( 319.416 contro 206.390).

Anche il quotidiano La Nuova Sardegna, risorto nel 1947 in concorrenza con il Corriere dell’Isola, di ispirazione democratico – cristiana, mentre si richiamava agli inizi alla tradizione laica democratica e repubblicana dei suoi anni migliori, lasciava poi ampio spazio a posizioni moderate e spesso  anche chiusamente conservatrici.

In questo periodo la città conobbe l’azione incisiva del sindaco Oreste Pieroni, democristiano che, pur operando su posizioni politiche moderate, si sforzò di dare alla città un volto più dignitoso, di dotarla di alcuni servizi come quello tramviario, nonché di inventarle un minimo di vocazione turistica attraverso la valorizzazione della “Marina di Sassari”, poi conosciuta come Platamona.

In una tale situazione il compito di diffondere idee di apertura e progressiste rimaneva affidato ad alcuni gruppi di avanguardia: molto importante per tutta l’isola quello che si raccoglieva intorno alla rivista  Ichnusa (1949-1964) diretta da Antonio Pigliaru.

In campo strettamente politico assunse rilievo l’iniziativa di un gruppo di democristiani – i cosiddetti “giovani turchi” -, tra i quali Francesco Cossiga, Nino Giagu Demartini, Paolo Dettori e Pietro Soddu: di formazione aperta e moderna, muovevano alla conquista delle leve locali del potere col duplice intento di rinnovare le strutture paternalistiche del partito e di avvicinare maggiormente l’azione alla sua base popolare.

Nel 1956, vinto clamorosamente un congresso provinciale  del partito, si insediavano nella segreteria della DC; pochi anni anni dopo Antonio Segni veniva eletto dal Parlamento alla massima carica dello Stato.

 

I PROBLEMI DI OGGI. Sul piano economico, in questi ultimi anni Sassari ha registrato la crisi definitiva di quelle piccole manifatture – concerie, pastifici, oleifici, -, create agli inizi del secolo, che per alcuni decenni si erano opportunamente integrate alla produzione agricola. Lentamente sta ora sorgendo nella località detta Predda Niedda, ad ovest della città, una nuova zona industriale.

Nell’ultimo ventennio Sassari è stata direttamente interessata prima al costituirsi e poi alla crisi del grande polo petrolchimico di Portotorres. Nel settore agricolo, mentre restano produttive alcune colture specializzate, specie quelle orticole, altre tradizionali, in particolare l’olivicoltura, vengono in parte abbandonate, e comunque non sono più fonte di benessere e luogo di assorbimento della manodopera come un tempo. Il grande incremento turistico che si è verificato negli ultimi anni in tutta l’isola interessa solo marginalmente la città di Sassari: il maggior sviluppo si è avuto intorno alla lontana frazione di Stintino, che ora si appresta a chiedere l’autonomia amministrativa, e nel lido di Platamona, che è utilizzato soprattutto dagli stessi sassaresi.

In questa situazione, la maggior parte dei redditi deriva dagli impieghi, dal piccolo commercio, dai servizi e dalle pensioni, la “terziarizzazione” della città si va rapidamente accentuando: la percentuale degli occupati rispetto alla popolazione risulta tra le più basse d’Italia – 29% nel 1971 – ed il 62,1% della forza lavoro, sempre al censimento del 1971, risultava impegnata in attività del settore terziario; i primi dati che si hanno dalle rilevazioni del 1981 mostrano la tendenza di questi valori  ad accentuarsi ulteriormente.

La crescita della popolazione, che era continua in modo sostenuto negli anni di sviluppo del polo petrolchimico – 100 mila abitanti nel 1966, 107 mila nel 1971-, e rallentata negli ultimi tempi: al censimento del 1981 gli abitanti erano 116.567.

Il quotidiano La Nuova Sardegna, dopo essere stato per alcuni anni proprietà del gruppo petrolchimico SIR di Portotorres, è passato al gruppo Caracciolo, che ha completamente rinnovato le tecnologie di stampa e ne sta incrementando la diffusioni. Un nuovo quotidiano, l’Isola, sorto nel 1981, ha conquistato uno spazio ridotto tra il pubblico.

Frattanto, con la progressiva emancipazione delle classi lavoratrici, con la diffusione dell’istruzione e dei mezzi di comunicazione, sono aumentati i fenomeni di dinamica sociale e la partecipazione politica. Le scadenze elettorali dei primi Anni settanta hanno visto nella città un graduale rafforzamento delle sinistre; nelle amministrative del 1975 il forte avanzamento del PCI insieme a quello del PSI ha consentito ai due partiti di dar vita ad una giunta di sinistra, la prima dal dopoguerra, guidata dal sindaco socialista Fausto Fadda: ma l’esperimento è finito con le elezioni del 1980, in seguito alle quali si è tornati ad un’amministrazione di centro – sinistra.