La Nuova Sardegna 3 gennaio 2003

Un'opera Cuec in due volumi curata da Gianni Mura e da Antonello Sanna
Paesi e città della Sardegna
Il dibattito sulla modernizzazione fuori dalle ideologie


"Paesi e città della Sardegna" è un'opera in due volumi, edita dalla Cuec, appena arrivata in libreria (45 euro ciascun volume). Grande formato, veste grafica molto curata, ampio corredo fotografico e iconografico. "Analizzare in modo distinto un sistema articolato - scrivono nell'introduzione i curatori dell'opera, Gianni Mura e Antonello Sanna - ma anche inestricabilmente connesso com'è da noi quello che unisce le dimensioni dell'urbano e del rurale, ci è sembrato rischioso ma fertile, e comunque adatto a suscitare qualche rilettura della nostra storia e delle nostre prospettive alle quali il dibattito corrente talvolta s'incaglia in atteggiamenti ideologici poco produttivi". L'obiettivo, spiegano i curatori - è quello di "seguire i percorsi del cambiamento e della modernizzazione, e contemporanemente il peso, il ruolo e le tracce della tradizione e della storia attraverso la trasformazione fisica e funzionale dei nostri villaggi e dei paesaggi costruiti dalle comunità nell'arco degli ultimi 150 anni, ma con tutte le necessarie proiezioni all'indietro".

I due volumi sono costruiti secondo un identico impianto. Una prima sezione, "Profili", in cui "sono concentarti - scrivono Mura e Sanna - i percorsi di lettura che attraversano nel tempo e nello spazio l'intera isola. Tutti gli autori, sia che disciplinarmente si occupino di scienze umane o naturali, di architettura o di comunità, hanno scelto un punto di vista sulla Sardegna tale per cui le componenti fisiche strutturali dei paesaggi regionali rivestono una centralità tanto forte quanto inevitabile [...]. Gli autori scuotono con la forza della ricerca paziente e puntuale il luogo comune di una Sardegna immobile. Il conflitto pastori-contadini emerge come elemento di regolazione interno alle comunità; le gerarchie tra i centri e i territori vengono costantemente riscritte e non appaiono mai fissate una volta per tutte; la dialettica tra poteri, istituzioni, comunità, ci si mostra come un doppio movimento, dall'alto e dal basso, che ha conflittualmente contribuito a dare forma allo spazio regionale; le sue crisi, la sua possibile desertificazione sono riconosciute in modo scientifico e non moralistico". La seconda sezione, "Atlante", punta invece il fuoco dell'attenzione su realtà specifiche: una città, un paese, un'area storico-geografica. "Questa sezione - scrivono Mura e Sanna - è concepita come uno strumento agile di consultazione, un servizio al lettore, ed insieme come un'interpretazione attualizzata dell'articolazione per zone del territorio isolano. Diciotto autori diversi interpretano altrettante aree la cui identità è riconosciuta sia come deposito di culture e di continuità storiche, sia come corrispondenza tra distretti amministrativi e territori omogenei o comunque complementari sotto il profilo della risorsa suolo". La sezione ospita le 45 tavole dell'atlante che Alberto Lamarmora e Carlo De Candia compilarono nel 1839 e che ora viene ripubblicato.

Tra gli autori che hanno preso parte all'impresa ci sono, insieme ai curatori, Giulio Angioni, Manlio Brigaglia, Gian Giacomo Ortu, Simone Sechi, Paolo Fadda, Eugenia Tognotti, Aldo Accardo, Silvano Tagliagambe, Sandro Roggio, Angelo Aru, Marco Cadinu, Isabella Zedda Macciò.



Ognuno gioca per sé.

Vincono i pastori e avanza il deserto

L'allevamento ovino trasforma i suoli in uno spazio di scorreria

Trionfa l’individualismo e si eclissa il modello comunitario

Il complesso intreccio tra strutture familiari, antichi codici e istituzioni

La progressiva dissoluzione di un equilibrio e i suoi effetti devastanti


Dal primo volume di "Paesi e città della Sardegna" pubblichiamo uno stralcio del saggio "Famiglia, comunità, istituzioni".

di Gian Giacomo Ortu


La cura e tenuta delle relazioni di parentela sono [...] maggiori dove sono meno avanzati i fenomeni dell'individualismo agrario e dove l'accesso alle risorse del territorio comune, piuttosto che da posizioni personali di proprietà è garantito dallo statuto del gruppo parentale (ereu), più o meno "originario" e radicato nel villaggio. La linea materna di discendenza può essere allora altrettanto decisiva di quella paterna, conforme ad un più antico sistema di trasmissione bilaterale dei beni e dei diritti (e spes o anche dei cognomi) diffuso sia nell'area latina occidentale che nell'area greca o bizantina orientale. Alcuni studi su villaggi delle diocesi di Nuoro e Lanusei mostrano una persistente e residuale presenza in tutta l'età moderna della filiazione parallela, con trasmissione prevalente del cognome della madre alle figlie e del padre ai figli. Altre ricerche su Austis, in Barbagia, mettono bene in evidenza il nesso esistente tra un'attività produttiva allo stesso tempo agricola e pastorale e una famiglia mononucleare non priva di elasticità, incorporante di frequente parenti e affini.

Una più o meno durevole "estensione" della famiglia vale infatti ad adeguare la presenza e l'utilizzo delle diverse unità lavorative sia alle attività d'allevamento, più continue e incombenti, sia alle attività di coltivazione, più discontinue, ma anche più impegnative in alcune fasi del ciclo annuale. L'esistenza, inoltre, ad Austis di un vasto comunale a lato della proprietà privata impone, per il suo controllo, un assetto dei legami di parentela più stabile e riconoscibile. In effetti l'ipoteca di alcuni ereus sull'indiviso di uso collettivo è riscontrabile in molti dei villaggi che hanno difeso con maggiore successo, dagli assalti dell'individualismo proprietario, i loro diritti tradizionali sul demanio ex feudale. Ciò non toglie che questa ipoteca abbia a sua volta avuto come esito la privatizzazione dei distretti e percorsi pascolativi (cussorjas e filadas), non senza la permanenza di confusi stati condominiali, causa frequente di micidiali conflitti tra i vari rami di uno stesso ereu.

Una specifica modalità di transizione dall'agricoltura d'età feudale, con prevalenza dell'area demaniale e governo comunitario del territorio, all'agricoltura d'età contemporanea, con prevalenza dell'area privata e governo individuale degli spazi, è segnalata dai furriadroxus del Sulcis e dagli stazzi della Gallura. Le prime assegnazioni sul demanio, di norma ad allevatori, sono condizionate e revocabili, ma quasi sempre la trasmissione per via ereditaria del singolo fondo può portare, nel giro di due-tre genera- zioni, al suo spezzettamento tra gli eredi, o anche alla sua gestione condominiale da parte di più nuclei familiari. Rispetto ai furriadroxius, gli stazzi presentano sin dal Settecento una più accentuata prevalenza delle ragioni della singola famiglia e una maggiore rarefazione delle maglie della parentela, ma in definitiva in entrambi i casi l'esito più significativo è il dimensionamento delle superfici e delle attività alle possibilità di un nucleo familiare, più o meno allargato a parenti e servi. Tale tendenza si può assumere come generale nell'isola, poiché ove i diritti individuali acquistano maggiore risalto e certezza inevitabilmente le logiche esclusiviste della singola famiglia fanno aggio sulle solidarietà e reciprocità parentali, salve sempre le regole dell'aiuto reciproco. Tali logiche possono peraltro manifestarsi anche in una più oculata gestione degli scambi matrimoniali, producendo tendenze endogamiche che mirano alla conservazione dei patrimoni fondiari all'interno del giro più stretto dei parenti. Da qui un significativo incremento dei matrimoni tra consanguinei, specie tra cugini di primo grado, nei decenni a cavallo tra Sette ed Ottocento. L'endogamia è anche più marcata nell'Ottocento, quando si fa più rapida la crisi delle forme tradizionali di accesso alla terra, con l'eclissi definitiva della comunità rurale d'antico regime, cui subentra, a partire dall'istituzione nel 1771 dei Consigli comunitativi, il moderno Comune, quale articolazione del governo centrale.

C'è quindi un nesso stretto tra i progressi dell'assolutismo proprietario e la decadenza delle forme tradizionali e collettivamente concertate di accesso all'area dell'indiviso. Le famiglie emergenti e in grado di vincere la lizza per l'appropriazione privata della terra rodono dall'interno anche gli equilibri materiali e morali della piccola azienda contadina e pastorale, per secoli inscritta nell'universo feudale e demaniale. Lo sviluppo della propria "potenza" aziendale le porta, infatti, ad incorporare le unità di lavoro necessarie a far fronte a complessi fondiari e produttivi sempre più attrezzati e articolati. È quanto avviene con lo sviluppo di quella tipica famiglia rustica sarda, la sotzaria aintru, o società "interna", che regge il primo ed embrionale sviluppo del capitalismo nell'agricoltura segnando fortemente il profilo della società rurale tra la metà del Settecento e il primo Novecento, ma con una fase più tonica [...] nei decenni centrali dell'Ottocento.

La più tipica casa a corte sarda è il centro gestionale ed operativo di questa azienda, la cui area di maggiore diffusione coincide con quella della più avanzata affermazione della proprietà privata, che è anche l'area della più intensa coltivazione cerealicola. Essa comprende anzitutto il medio Campidano, e quindi il nord e il sud della pianura meridionale, estendendosi al Parte Olla, alla Trexenta, alla Marmilla e in parte al Sulcis e al Logudoro più agricolo. Non sempre la sotzaria aintru ha un profilo borghese. Nel clima del "rifiorimento" agricolo promosso dal riformismo sabaudo, tra Sette ed Ottocento, matura anche in Sardegna una qualche conversione aristocratica all'imprenditorialità agricola, accompagnata dalla scoperta dei valori paesaggistici e abitativi della campagna. Ne scaturisce la moda del soggiorno primaverile nei campi, con la costruzione nei dintorni urbani di belle residenze signorili e con la cura diffusa della "mostra" esterna dei migliori poderi, rifiniti con chiusure anche parziali in muro di pietra o di mattone crudo e con gli ingressi ad arco e loggetta. Gli esempi più eclatanti di questi manufatti sono ancora visibili nella campagna oristane- se, ove la proprietà fondiaria conserva un volto spiccatamente aristocratico e tradizionale, seppure permeato di imprenditorialità e dinamismo urbano.

Questi caratteri sono in parte propri anche dell'agricoltura del Cagliaritano, del Sassarese del basso Campidano, del Caputerra, del Parteolla, della Trexenta e dall'Anglona, del Meilogu e della Romangia, regioni nelle quali rinveniamo gli esempi più notevoli della villa-corte, dimora e fattoria allo stesso tempo: quali la celeberrima Villa d'Orri a Sarroch, le ville Amat (poi Nieddu), Randaccio e Grondona a Pula, Sanjust-Catalàn a Teulada, Amat e Sanjust (Asquer) a Pirri, Sanjust-Ripoll e Tola a San Sperate, Bonfant a Dolianova, Casu (Ruda) a Suelli, Diana e Orrù a Sardara, Paderi a Villanovafranca e Mogoro, Salis a Masullas, Diana a Simala, Asquer a Tuili, Santa Cruz a Mandas, Paderi-Guirisi (Orrù) a Gesturi, Aymerich a Laconi, e ancora Piercy a Bolotana, Delogu a Ittiri ecc..

Questo fervore di edilizia "rurale" non è senza ambizioni architettoniche, come mostra l'impegno prestato da Gaetano Cima, negli anni Trenta e Quaranta dell'Ottocento, nella progettazione delle ville Randaccio o Santa Maria a Pula, Tola a San Sperate, Asquer a Tuili, Aymerich a Laconi. Nella vicenda di alcune costruzioni è particolarmente evidente la tendenza più generale della casa-corte ad evolvere a villa o anche a palazzo.

Lo sviluppo minore della grossa azienda agricola si ha viceversa dove, per condizioni ambientali e culturali, è maggiore la resistenza comunitaria ai progressi dell'individualismo agricolo. È quanto riscontriamo specialmente nelle Barbagie, nel Nuorese, nel Barigadu, nel Sarrabus, nell'Ogliastra, regioni nelle quali, peraltro, quel poco di grande proprietà fondiaria che riesce ad emergere manifesta un profilo spiccatamente conservativo. Così, ad esempio, le proprietà oltre le 500 lire di reddito agrario censite dal vecchio catasto, sono o ecclesiastiche o nobiliari al 70-80 per cento in Barbagia e al 50-60 per cento nel Nuorese. In un quadro d'assieme la debolezza della piccola impresa agraria a fronte della maggiore è ben documentata dal fatto che alla vigilia dell'unificazione italiana, quando è completato il primo catasto, i proprietari con oltre 500 lire di reddito sono in tutta l'isola appena il 2,5 per cento di quelli censiti, ma assommano il 43,7 per cento dell'intero reddito agricolo privato. Le proprietà con almeno 2.000 lire di reddito, e cioè quelle dotate di assetti aziendali più complessi e rivolte essenzialmente al mercato, non raggiungono il numero complessivo di cinquecento, ma detengono il 14-15 per cento del reddito privato. Per il 45 per cento esse sono peraltro in mano a nobili, per il 15 per cento a persone ecclesiastiche, e soltanto per il 42 per cento a borghesi, nella maggior parte operanti nel medio e basso Campidano e nel Sulcis. La grande casa a corte e la villa signorile sono quindi il segno di un autentico processo di accumulazione capitalistica in agricoltura, in una fase storica che vede le attività d'allevamento in relativo declino e sotto il tiro di una forte offensiva pubblicistica e politica. L'Ottocento è anche il secolo d'oro del mercato dei prodotti agricoli, in una temperie d'idee d'ispirazione marcatamente liberale e liberistica che ha contagiato tutta l'Europa occidentale. Sin dal suo scorcio finale s'avvia però la rivalsa del mondo pastorale, le cui produzioni benefi ciano a loro volta di una nuova e forte domanda italiana ed internazionale.

Il Novecento è quindi tutto sotto il segno dell'espansione degli allevamenti, [...] nel contesto del trionfo dell'individualismo e dell'eclissi [...] dell'organizzazione comunitaria. Alla decadenza delle forme collettive di regolazione e controllo degli usi agrari, pazientemente escogitate nei secoli per consentire la riproduzione delle risorse minerali e vegetali della terra, si unisce la progressiva scomparsa della millenaria transumanza, con la formazione di aziende allevatrici sedentarie nelle regioni di svernamento. Questo secondo fenomeno ha implicazioni largamente positive, è ovvio, ma il primo è fattore di turbamento di antichi e delicati equilibri produttivi ed ambientali, reso ancora più incidente dallo scioglimento definitivo delle strategie aziendali e familiari da ogni vincolo parentale e comunitario. Ciascuno ha infine all'orizzonte soltanto il proprio futuro.

In un territorio tutt'oggi scarsamente popolato - anzi, nelle zone interne e di collina più spopolato che in passato - questo comporta costi altissimi per l'intera isola. Se l'agricoltura più ricca e capace di rispondere alle sfide del mercato e alle politiche europee comunitarie appare sulla soglia del Duemila come arroccata nelle aree interessate dalle grandi opere idrauliche del Novecento, peraltro largamente coincidenti con le regioni della grande cerealicoltura sette ed ottocentesca, l'allevamento specie ovino "sciala" sfrenato, come su uno spazio di scorreria, sul deserto d'uomini e d'opere.




Dagli ex combattenti del Psda agli uomini nuovi del fascismo

Partiti tra lotte e intese

Parola d'ordine: "La terra ai contadini"

1924, arrivano il finanziamento di un miliardo di lire per far decollare le grandi opere


Dal secondo volume di "Paesi e città della Sardegna" pubblichiamo uno stralcio del saggio "Il ceto politico".

di Manlio Brigaglia



Il primo dopoguerra è contrassegnato, in Sardegna, dalla nascita di un forte movimento di ex-combattenti che nel 1921 darà vita al Partito sardo d'azione. Per essere partito composto in gran parte di ex-combattenti, il PsdA è anche partito eminentemente rurale. Molti suoi dirigenti sono nati nei piccoli borghi della Sardegna contadina e pastorale: il capo carismatico del partito, Emilio Lussu, viene da Armungia, un villaggio del Gerrei. Di cultura urbana (sono quasi tutti giovani laureati chiamati alla politica da quella "scuola rivoluzionaria" - la definizione è di Lussu - che era stata la trincea), portano nei paesi la parola d'ordine della terra ai contadini, della cooperazione fra produttori, del diritto della Sardegna all'autogoverno (che vuol dire anche lotta ai "vecchi partiti" e alle clientele locali).

Il ceto politico contadino avverte la minaccia e rinserra le file attraverso alleanze e blocchi che, alle amministrative del 1920, vedono insieme uomini e schieramenti che si erano combattuti per decenni. L'alleanza è in funzione di diga a tutti i partiti popolari: dunque, non solo i sardisti ma anche i socialisti e, in minore misura, gli stessi cattolici del Ppi. Nelle elezioni comunali le vecchie alleanze resistono, in quelle provinciali - in cui è coinvolta la campagna - s'impongono invece i sardisti. A Sassari otterranno addirittura la maggioranza in Consiglio: la bandiera con i quattro mori sarà esposta al balcone del Palazzo di Piazza d'Italia.

Anche il nascente fascismo porta uomini nuovi alla ribalta: e se il fascismo minerario e cagliaritano è ispirato e finanziato, al momento della "prima ondata", da un imprenditore come Ferruccio Sorcinelli, presto i dirigenti del Pnf saranno uomini provenienti anch'essi dall'esperienza di trincea o giovanissimi non ancora usciti dalle Università. La "fusione" tra Pnf e PsdA nell'aprile del 1923 porrà un intero gruppo dirigente, slegato dalle vecchie consorterie (e in polemica aperta con lo stesso Sorcinelli), alla guida del partito e dell'isola.

Lo scioglimento dei Consigli comunali - che avviene con operazioni di autentico defenestramento dei sindaci eletti, come accade a Sassari per il professor Flaminio Mancaleoni - e la creazione della carica di podestà spostano il centro del potere politico locale verso le sezioni e più ancora verso le federazioni provinciali del Pnf. Anche se il centralismo fascista porta a rafforzare le funzioni del prefetto. Una nuova venerazione di dirigenti locali nasce a Sassari, Cagliari e nei centri urbani minori: il rinnovamento agisce con molto minor vigore nei centri rurali, dove le grandi (e spesso prepotenti) famiglie che hanno visto formarsi e consolidarsi il proprio patrimonio grazie all'appropriazione della terra ("liberata" dai pesi del sistema feudale e della gestione comunitaria) continuano a comandare, magari attraverso figli e parenti delegati a occupare - anche in virtù di una maggiore scolarizzazione - le piccole cariche amministrative e di partito che presiedono al funzionamento della comunità.

L'alleanza fra il ceto politico urbano e la vecchia classe dirigente si realizza, a partire dal 1924 (l'anno dell'assegnazione alla Sardegna di un miliardo di lire da impiegare soprattutto in lavori pubblici), nel controllo e nello sfruttamento degli interventi predisposti dal governo per accompagnare lo sviluppo dell'isola con un' attrezzatura strutturale del territorio e delle risorse che ha nella politica di bonifica, nella "battaglia del grano", nella lotta contro la malaria, la diffusione della scolarizzazione e la creazione di elementari dotazioni civili (acquedotti, fognature, cimiteri) i suoi punti forti. La dimensione delle opere (come la diga del Tirso e a seguire quella del Coghinas), la decisione di costruire "in grande" nelle città (nel 1934 Sassari inaugura il Ponte del Littorio, che scavalca la vallata di Rosello), la presenza a Roma di autorevoli personaggi inseriti negli organismi del governo e del Pnf porterà in Sardegna imprese e capitali "continentali".

Da questo punto di vista il ruolo di podestà anche popolari come furono a Cagliari gli ex-sardisti Vittorio Tredici e soprattutto Enrico Endrich, risulta piuttosto marginale rispetto alle tendenze e agli sviluppi di una economia che mescola spregiudicatamente, in una città che viene sempre più spesso definita "l'emporio del Mediterraneo" (e ambirebbe diventarlo), la grande impresa continentale dell'industria e delle opere pubbliche e la piccola borghesia locale, che trae alimento dal ruolo effettivo di "emporio del Campidano" che la città esercita con sempre maggiore determinazione.

Soltanto a Nuoro, capoluogo della terza provincia sarda creata nel 1927, la lotta fra il sindaco e il prefetto ha il suo vigore soprattutto sul finire degli anni Venti: ma già il rapido trasferimento di Ottavio Dinale, un ex-sindacalista rivoluzionario amico di giovinezza di Attilio Deffenu e di Mussolini, mandato a Nuoro come primo prefetto proprio con questi titoli, trasferisce il potere alla segreteria provinciale del Pnf e all'alleanza fra ex-sardisti e nuovi imprenditori di affermata fede fascista.

Al censimento del 1931 Sassari ha 51.700 abitanti, Cagliari 100.620. Da questo momento in poi - saltati gli anni tragici della guerra, dei bombardamenti e degli sfollamenti - Cagliari avrà sempre il doppio degli abitanti di Sassari, anche con l'andirivieni di accorpamenti e di distacchi che toccheranno centri come Pirri, Monserrato, Selargius, Quartucciu ed Elmas - aggregate a Cagliari nel periodo fascista - e in parte staccate in questi ultimi cinquant'anni, e Stintino, diventato autonomo da Sassari intorno agli anni Novanta. Movimenti che attiveranno anche in questi centri minori la nascita di un nuovo ceto politico, però sempre ripiegato sugli interessi locali tanto nella battaglia per l'autonomia quanto nell'avvio di un'amministrazione autonoma.

Alla caduta del fascismo Gavino Dessì Deliperi viene nominato commissario prefettizio di Cagliari, Candido Mura commissario prefettizio di Sassari. Deliperi era stato l'ultimo sindaco eletto di Cagliari, Mura era stato addirittura il commissario prefettizio che aveva traghettato la Sassari liberale fin dentro il fascismo. Nonostante tutto, non è obbligatorio leggere la loro nomina come una applicazione del concetto crociano di fascismo come parentesi della vita nazionale. È piuttosto un comodo escamotage, intanto che i Comitati di concentrazione antifascista decidono come allocare i propri uomini nelle diverse amministrazioni cittadine. La successiva nomina (prefettizia) di Deliperi e Mura a sindaci, seppure per breve tempo (Mura sarà anche sindaco eletto dopo le amministrative del 1946), indicherà invece il riconoscimento della forza reale di una vasta aggregazione borghese al centro dello schieramento politico sotto le insegne della Democrazia cristiana. Il referendum istituzionale del 2 giugno segnala in Sardegna, e soprattutto nei centri maggiori (fanno eccezione Nuoro, dove è forte l'influsso sardista, e i centri del Sulcis-Inglesiente) e più ancora a Sassari, una maggioritaria presenza monarchica, e alle contemporanee elezioni per la Costituente la formazione dell'Uomo qualunque arriva a Cagliari al 27,4 per cento (contro un 33,3 della Dc).

Il ceto politico di questi ultimi cinquant'anni si stratifica a diversi livelli e si disloca in differenti istituzioni, che hanno quasi tutte nelle città il loro punto di riferimento: dalle circoscrizioni ai comprensori e alle comunità montane (le circoscrizioni in città, comprensori e comunità soprattutto nei centri urbani minori), dai consigli comunali ai consigli provinciali, dal Consiglio regionale al Parlamento e al Governo della repubblica.

La carriera politica (in una fase in cui si assiste a una professionalizzazione della politica, soprattutto nei due partiti maggiori) si sviluppa come un continuo passaggio da un gradino all'altro di una scala che comincia in genere nel Consiglio comunale e finisce (o può finire) a Cagliari e/o a Roma. La maggiore integrazione fra i sistemi politici locali e le centrali nazionali permette peraltro di abbreviare rapidamente questo itinerario: il caso dei sassaresi Antonio Segni (sottosegretario all'Agricoltura nel 1944, eletto presidente della Repubblica nel 1962) e Francesco Cossiga (deputato nel 1958, eletto presidente della repubblica nel 1985) è abbastanza esemplare. Ma nella gran parte dei casi le istituzioni si configurano come fabbriche di un ceto politico che, al livello dell'amministrazione cittadina si vede speso limitato non soltanto dagli indirizzi di partito o di governo che vengono dalle segreterie provinciali o dagli assessori regionali o dai ministeri romani, ma anche dalla presenza di potentati economici di provenienza spesso extra-isolana. Emergono, invece, singole figure di sindaci, talvolta anche molto popolari (Giuseppe Brotzu e Paolo De Magistris a Cagliari, Oreste Pieroni a Sassari): il recente meccanismo di elezione diretta del sindaco ha messo in luce l'importanza della visibilità del primo cittadino, tanto al momento della candidatura quanto nello svolgimento dell'azione amministrativa. Ma è difficile affermare che il ceto politico di livello comunale sia stato sottratto - dall'evoluzione del sistema politico - all'usura che ha colpito l'intera classe dirigente del nostro Paese in questo crepuscolo del secolo.



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