La colonna di Sant'Antonio da Padova


La colonna con la storia della città di Sassari

di Wally Paris

Eugenio Tavolara presentò sulle pagine de "La Nuova Sardegna" la colonna di piazza Sant'Antonio in modo molto dismesso, alieno a qualsiasi sottolineatura. Schernendosi, forse con eccessiva modestia, egli considerò il proprio lavoro un'opera che raccontava "di Sassari, della sua storia e dei suoi figli, dei suoi eroi e dei suoi santi, delle sue glorie e delle sue sventure in tono minore e semplice, con quella plastica un po' rozza e popolaresca" che era stata sempre in fondo alla sua "sensibilità antiaccademica e paesana" .
Nonostante fosse un autodidatta E. Tavolara non era incolto, nel senso che mancasse di conoscenze artistiche; il fatto di non aver frequentato un'accademia incise favorevolmente sulla sua produzione rendendola autentica, spontanea e aperta verso vie a lui maggiormente congeniali. Non ci furono docenti che gli impartirono concetti estetici prestabiliti, regole precise, insegnamenti scontati. Ciò che egli realizzò fu una conquista personale, oltre ad una ricerca non casuale volta tanto all'ambito della tradizione isolana, quanto a quella di maestri della grande cultura artistica italiana. Gli aggettivi "paesano" e "popolaresco" non vanno letti pertanto in maniera riduttiva, ma rivestiti di civetteria snobistica verso la produzione considerata ufficialmente dotta; il rimando alle sculture lignee policrome tardo gotiche di discendenza catalana di questa terra di periferia, come fonte di ispirazione per il suo Sant'Antonio, lo attesta chiaramente, rivelando in lui il desiderio di una riappropriazione della cultura isolana.
quali fonti ispirassero le cinque fascie circolari della colonna è difficile stabilire precisamente, poichè vi aleggiano suggestioni diverse che si cercheranno via via di esaminare. Nelle predette fasce, partendo dall'alto, vengono rappresentati per lo più i santi della chiese della città, gli "statuti", i "parai" mentre scendono lungo la strada principale della città, nella allegra sera dei "candelieri", come recita una poesia dedicata alla colonna.
Sono presenti inoltre scene della peste della metà del Seicento, l'entrata trionfale di Angioy a Sassari accolto dalla popolazione festante e il sacrificio della "Brigata" della stessa città nella prima guerra mondiale.
La giustapposizione dei rudi santi, stagliati contro il fondo con i loro rispettivi attributi, scandisce lo spazio con una sequenza simmetrica interrotta da figure talvolta genuflesse, che creano un ritmo modulare atto a rendere meno rigida la teoria frontale dei santi stessi. I loro volti possiedono una crudezza espressiva che s'innesta in una articolazione formale resa più intensa da accenti incisivi, dispiegati ad una grandiosità di tipo popolaresco. In realtà nei loro volti tormentati si scorge una singolare lega linguistica discendente da certi altorilievi dell'Italia settentrionale d'epoca rinascimentale, mediata dal fare proprio di Eugenio Tavolara.













Partendo da Gavino, martire turritano, con lorica, stendardo ed elmoai piedi, si individua accanto al figura inginocchiata di S.Sisto, dietro il quale è Paolo l'eremita che rievoca, alla lontana, l'inscheletrita Maddalena lignea di Donatello, seguito da Agostino con un volume dei suoi scritti aperto tra le mani, presso il quale è San Donato, succeduto da San Francesco, che tiene alta la croce, mentre si presta a porsi in ginocchio. Accanto a quest'ultimo si distingue Nicola da Bari in abiti vescovili ai piedi del quale sono tre fanciulli nel tino: un riferimento al più celebre dei suoi miracoli; dopodichè si scorge Cristo, che grandeggia nel gruppo, con doppio nimbo sulla testa ed il Sacro Cuore tra le mana. In posizione genuflessa si pone S.Antonio da Padova, barbato, con un ramo di gigli portato con la destra al cuore; a questi si apposta S.Caterina d'Alessandria, velata e paludata in un mantello dalle risentite pieghe, mentre trattiene la ruota con la sinistra e alza la palma del martirio con la destra.
Chiude il seguito dei santi un vescovo da individuare in S.Apollinare, titolare della chiesa posta nel quartiere più antico della città.
Sotto il registro deicato al sacro, si profilano i valori civili, rappresentati dalla costruzione della città di Sassari con i suoi edifici e con i porticati e, tra gli abitanti, personaggi illustri dell'eoca giudicale. Si individua Costantino I giudice di Torres, che tenne "corona nella chiesa di S.Nicola", come precisa Enrico Costa, e alla munificenza del quale si deve la chiesa di Saccargia. Costantino è reffigurato con il modello della SS. Trinità sulle ginocchia - denotato dall'alto campanile e dall'inconfondibile pronao- e con l'effigie di Oreste Pieroni, direttore del Banco di Sardegna e poi sindaco di Sassari al tempo della costruzione della colonna della quale fu grande sostenitore.
Costantino I è abbigliato secondo la foggia del XV secolo, del quale sembra mutare anche l'iconografia simboleggiante il suo riferimento alla citata chiesa, tenuta saldamente in grembo. Non si esclude che l'Annunciazione di Crivelli (Londra, National Gallery), nota per le riproduzioni, abbia suggerito forse questa rappresentazione. Lo stesso volto del celebre giudice riconduce a caratteri della ritrattistica quattrocentesca legata ai modi soprattutto di Benedetto da Maino, per quel sapiente plasticismo, associato ad una realistica individuazione del personaggio, che E.Tavolara tradusse dallo scultore toscano.
Ciò ribadisce la ricerca, nell'artista sardo, di quei richiami che a suo avviso avrebbero potuto riprodurre meglio la personalità del giudice di Torres.
La raffigurazione della città entro le mura pare esemplata da confronti rinascimentali, senza ricorrere ad effeti di pittoricismo dell'intelaiatura architettonica tanto frequenti a quell'epoca. Le figure assise frontalmente davanti le mura rammentano alcune di Mario Delitalia, anche se poste in un altro contesto nelle decorazioni parietali nell'aula magna dell'Università o quelle della proclamazione della Repubblica nel salone dello Sciuti nel palazzo della Provincia.
L'effige di mons. Mazzotti è stata assegnata probabilmente al metropolita di Torres e di Sassari Tergodorio, il quale retto a libero comune. Mons. Mazzotti fu sostenitore della realizzazione sia della fontana di San Francesco nei giardini pubblici sia della colonna mariana nella piazza detta, prima "delle demolizioni", poi dedicata allo stesso monsignore ed infine alla citata colonna; quindi si volle con l'immagine di Mazzotti sootlineare colui che aveva cercato di abbellire con monumenti parti della città.
Rimarchevole in questa seconda fascia egrave la rappresentazione degli ignudi, delineati in una tesa archeggiatura delle forme che risaltano nello spazio per il vivo contrasto delle luci e delle ombre. I loro corpi si precisano in modo netto, balzante in maniera tagliente nell'organizzazione del racconto; alla loro azione si potrebbe dare un valore quasi allegorico implicante il concetto di laboriosità degli abitanti di Sassari. Nella figuretta del chierichetto, accanto al metropolita Torgodorio, si coglie una grande finezza di disegno ceh coglie una grande finezza di disegno che sottointende le qualità non comuni dell'artista. Tra i personaggi si impone altrsì l'araldo la cui massa bloccata e grandiosa documenta la forte suggestione che artisti quattrocenteschi come Andra Castagno ebbero su Tavolara. Il significato costruttivo di questa figura è accentuato dalle sfaccettature dei piani ove luci ed ombre si solidificano senza possibilità di espansione.
Accenti drammatici di alta intensità umana si trovano espressi nel registro dedicato al ricordo della peste che colpì Sassari nel Seicento. La madre con il figlioletto morto tra le braccia riconduce alle descrizioni di manzoniana memoria e la fanciulla chianata su un corpo ormai esanime, muta nel suo cupo dolore, riporta al mondo dei sentimenti e delle lacerazioni profonde davanti alla ineluttabilità del fato. Il volteggiare degli angeli nel cielo, sopra i cadaveri degli appestati, rientra negli schemi della raffigurazione cristiana, inserita in un contesto comunque laico. Questa immagine potrebbe comunque interpretata come l'accoglimento nei cieli delle anime dei morti, alla stessa stregua di quelle dei santi o dei martiri di medievale discendenza iconografica. Non si vuole comunque escludere neppure un'interpretazione in chiave epicurea, secondo la quale la natura beata degli dèi - denotata dal librare gioioso degli angeli sulla città prostrata dall'epidemia -, rimane estranea ai destini umani: un rimando, in questo caso, alla Peste di Lucrezio ed a quella di Albert Camus.
La presenza dei rappresentanti dei Grami e lo scorsio della chiesa di Santa Maria di Betlem hanno connessioni con la festa dei Candelieri, vissuta con maggiore enfasi per intercedere contro la peste: festa che trovava il suo momento conclusivo nelle celebrazioni predisposte nel predetto edificio religioso.
Del tutto glorificante è il racconto di Angioy a Sassari: gli uomini sui destrieri al galoppo possiedono quelle note epiche che si riaccendono ogni anno in occasione della "cavalcata". Nella poesia di Salvatore Ruiu si riconosce che in questa rappresentazione l'artista infuse particolare passione, rivelando tutto il suo entusiasmo. Questa parte, nel dispiegarsi della scena dove cavalli e cavalieri si susseguono in un esltante movimento di muscoli, suggerisce precedenti nel rilievo della Battaglia, conservata al Museo del Bargello a Firenze, realizzata da Bertoldo, allievo di Donatello. Ciò non esclude che Tavolara abbia tenuto presente anche scene di cavalcata della tradizione sarda.
Non fu Giuseppe Sciuti ad offrirel'impostazione iconografica alla scena, poichè l'entrata di Angioy a Sassari era stata da lui pervasa da un triofalismo più consono alle celebrazioni delle conquiste napoleoniche dominanti all'epoca del neoclassicismo e del romanticismo ottocentesco.
Nella quinta fascia è riportato il sacrificio dell "Brigata Sassari" che lasciò nei campi di battaglia della prima guerra mondiale i suoi giovani migliori. L'altorilievo riproducente quell'avvenimento è trasposto sulla pietra con una crudezza sottesa a denunciare la dissennatezza dei conflitti, piuttosto che la gloria delle vite votate al massacro. Tavolara doveva conoscere il libro di Emilio Lussu Un anno sull'altipiano in quanto la ferocia degli assalti stravolge gli uomini facendo perdere loro tutti i sentimenti che possedevano in tempo di pace.
La figura femminile, seduta di scorcio in primo piano, con lo sguardo nel vuoto e le braccia piegate sulle ginocchia, potrebbe rappresentare tutte le spose che attendono il ritorno del marito con l'angoscia che possa rimanere ucciso. Se Ciusa aveva saputo imprimere nella madre dell'ucciso la tragedia dell'animo umano, vissuta nell'impenetrabile dolore di una donna che aveva perduto il figlio, Tavolara pose l'attenzione invece sul dramma della donna in attesa dell'uomo amato e sulla sua impossibilità di cambiare gli avvenimenti della storia.
Da un punto di vista iconografico Eugenio Tavolara doveva conoscere i pittori della repubblica di Weimar e la loro denuncia degli orrori della guerra, come ad esempio aveva fatto Otto Dix nel Trittico del 1929-32 (Dresda,Staatliche Kunstsammlungen). La denuncia è eloquente: il soldato con le stampelle che incede faticosamente ci mostra, accusando con tutto sè stesso, la realtà di ciò che rimase della Brigata Sassari. Significativa è pertanto la raffigurazione di una donna che regge il corpo esanime di un altro soldato, rielaborata, si crede, da un'immagine caraveggesca . Dallo stesso pittore si pensa sia stata presa in prestito anche la figura piangente alle spalle dell'ucciso, tratta dalla Morte della Madonna (Parigi, Louvre), ove si nota un apostolo che si copre con le mani il volto disperato.
Non si escludono i riferimenti alle xilografie di Stanis Dessy del 1934, il quale con Forza Paris intendeva sottolineare quanto tutti insieme gli uomini della "Brigata" seppero dare per quella tremenda guerra di trincea e alle incisioni di Mario Delitalia che sullo stesso tema volle ricordare Efisio Porcu e Maurizio Zanfarino entrambi medaglie d'oro in quella atroce guerra.
L'opera tutta scriveva Gavino Tilocca all'indomani dell'inaugurazione della colonna, nasce e si sviluppa nella perfetta "aderenza dell'espressione al contenuto, dall'alto senso di unmanità con cui i fatti narrati sono veduti e sentiti e dalla scrupolosa coerenza di unità di stile che fa dell'artista un caposcuola" . Alla fine dei cinque registri un ampio spazio è lasciato alla dedica commemorativa in lettere capitali, ove si invitano gli uomini a ripensare alla storia della città di Sassari. L'iscrizione recita:
OH VOI CHE SOSTATE/ PRESTO QUESTA FON/TE RIVOLGETE UN PEN/SIERO ALLA NOSTRA /ANTICA CITTA' DEDITA/ ALLE TRANQUILLE OPE/RE DEI CAMPI - ESSA/ CONOBBE GIORNI LIETI TRISTI E GLORIOSI/ SOFFERSE GUERRE PE/STILENZE CARESTIE/ DISTRUZIONI IN OGNI/ EVENTO DEL SUO AMO/RE ALLA LIBERTA' - FU/ CON PISA TRA I PRIMI/ LIBERI COMUNI - ACCOLSE CON ANGIOY LA NUO/VA FEDE UMANA E SO/CIALE - DIFESE LA COMUNE PATRIA ITALIA/NA CON QUEL VALORE/ CHE I FANTI DELLA BRI/GATA SASSARI PORTA/RONO NEL CLIMA DEL/LA LEGGENDA CON LA/ BUONA VOLONTA' DEI/SUOI FIGLI E LA PROTEZIONE DEI SUOI SAN/TI PATRONI E DEL TAU/MATURGO ANTONIO DA PADOVA - POSSA SEM/PRE CONSERVARE GLI/ ONESTI COSTUMI E LA/ SUA LIBERTA' E DIVEN/TARE PIU' PROSPERA. VISTA NEI SECOLI.
Sotto la scritta, a dare il senso del tempo che passa, sono rappresentati il sole e la luna crescente e calante: un'allegoria che conchiude la storia della città lasciando aperto idealmente un progetto per il suo futuro.




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