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| Sporcizia, degrado e mancanza di alberghi i freni allo sviluppo: «Eppure potrebbe dar lavoro a duemila persone» |  | Platamona, l’occasione gettata in mare | La spiaggia non riesce a diventare un polo di attrazione turistica |
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Maria Montalbano scruta il mare da una cabina dello stabilimento che porta il suo nome, guarda le bandierine e indovina la direzione del vento. Se soffia maestrale saranno onde e spruzzi, se tira vento di terra saranno buste di plastica, cartacce, bottiglie vuote sparse sul litorale pulito poco fa. Platamona anno 2001: gli oleandri nascondono alla vista i rifiuti raccolti dalla spiaggia, perché c’è qualcuno che li raccoglie e li ammucchia, ma nessuno che li porti via. «È un’assurdità», protesta la signora Montalbano, portavoce di una famiglia che affitta ai bagnanti cabine e ombrelloni da mezzo secolo esatto: «Ogni anno la stessa cosa, ci lamentiamo ma non cambia niente. Alle sei del mattino arriva il mezzo del Comune che porta via i rifiuti, poi però li scarica a cinquanta metri da qua, dietro gli oleandri sulla strada. E se c’è vento dopo un po’ finiscono di nuovo sulla spiaggia». Da dove domattina lo stesso mezzo comunale andrà a raccoglierli per poi ributtarli nella cunetta, in un eterno ritorno che avrà anche echi mitologici, ma ai turisti fa piuttosto schifo. Il Comune sotto accusa è quello di Sorso, signore del litorale al di qua della rotonda centrale. Di là c’è il territorio sassarese. Il confine è una diagonale un po’ sghemba che taglia in due lo spiazzo circolare, e passa attraverso il muro che divide il posto fisso dei vigili urbani dalla guardia medica. Ma non è che dalla parte di Sassari siano rose e fiori. Lo spazio del comune capoluogo significa anzitutto Lido di Sassari, un mezzo miracolo nato sei anni fa da una mezza discarica: «Il nostro stabilimento è ormai una realtà consolidata», spiega Gesuino Manai, «con le sue 250mila presenze per stagione il Lido è al quarto posto in Italia tra le strutture di questo genere. Ma nonostante questo, Platamona non riesce ancora a fare il salto di qualità». Su questo sono tutti d’accordo, su entrambi i versanti. «Nella penisola una spiaggia così sarebbe molto più sfruttata», dice Maria Montalbano, «darebbe lavoro a molta gente». Gesuino Manai fa i conti: «Le poche aziende che lavorano qui hanno attualmente 200-250 dipendenti. Settanta sono i nostri. Secondo me qua c’è spazio per dare lavoro a duemila persone, almeno stagionalmente». Invece la spiaggia inventata da Oreste Pieroni, sindaco di una Sassari di un’altra era, sembra condannata a non uscire dagli abiti ormai stretti degli inizi: quelli di spiaggia dei sassaresi e basta, incapace di vero turismo. «Il turismo in questa fetta di Sardegna è morto, diciamo la verità», taglia corto Fulvio Salomone, socio di Manai: «Per attrarre visitatori servono servizi e strutture alberghiere, qua ci sono solo i servizi. Non possiamo pretendere che uno arrivi dalla penisola o dall’estero, con i costi dei mezzi di trasporto, e accetti di venire qua al mare e fare poi trenta chilometri per andare a dormire». Per non parlare del senso di degrado trasmesso dalle erbacce invadenti, dalle rovine del vecchio lido Iride, dalla trascuratezza degli spazi verdi. I progetti, per altro, non mancano. A giorni, nel tratto tra la rotonda e il presidio militare, partiranno i lavori per un importante centro di talassoterapia, ultimo grido del turismo salutista. Ma gli operatori suggeriscono anche idee più semplici: la signora Montalbano cita l’esempio di alcuni comuni della penisola per tenere pulite le spiagge. «La gente spesso è maleducata - dice lei - e sporcano un attimo dopo che ti sei fatta in quattro per pulire. Basterebbe creare squadre di giovani incaricati di multare chi abbandona i rifiuti: la paga se la farebbero dalle multe stesse, e i bagnanti sarebbero spinti a comportarsi meglio». Si sono comportati male anche quei vandali che, il mese scorso, hanno distrutto tutte le porte nuove delle cabine dei Montalbano. «Ovvio che succedano queste cose, visto che mancano i controlli notturni». E se poi soffia anche vento di terra sono guai.
Giuseppe Meloni
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