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Gennaio 2005


San Agustin

Superato il Capodanno, iniziamo il 2005 con una tappa di trasferimento verso San Agustin, altra zona archeologica, nel Departamento de Huila. L’area, dichiarata (così come Tierradentro) Patrimonio dell’Umanità da parte dell’U.N.E.S.C.O., sorge intorno al paese omonimo, dal quale si puó partire per tours a cavallo o in jeep, che coprono tutta l’area di interesse naturalistico e archeologico. Alla periferia del paese sono situati il Parco e il Museo Archeologico, nei quali, in un percorso di circa tre ore, è possibile ammirare gran parte dell’opera scultorea della cultura agustiniana. Infatti, se Tierradentro é nota per le tombe, San Agustin risalta per le sue imponenti statue di pietra. Le sculture risalgono a un periodo fra il 100 a.c. e il IX secolo d.c. Le statue, lavorate in roccia lavica, rappresentano figure antropomorfe, zoomorfe e antropo-zoomorfe, hanno misure che variano dai 30 cm fino ai 7 mt. e si rifanno alla mitologia agustiniana (l’aquila, il serpente, l’uomo-giaguaro). Generalmente sono disposte a guardia delle tombe e degli imponenti sarcofagi scavati nella pietra. Molti dei reperti in oro ritrovati nelle tombe sono oggi esposti nei Museo del Oro delle principali città colombiane, mentre molti altri sono andati perduti a causa dei saccheggi da parte dei tombaroli locali. La precarietà delle strade e la distanza di alcuni luoghi rendono difficile un fai-da-te in questa zona, e dunque è consigliabile affidarsi a una delle agenzie locali. Facciamo due tours, uno a cavallo e uno in jeep. Il primo, che dura circa quattro ore, parte dal paese e copre le zone archeologiche de El Tablòn, che si affaccia sul profondo cañón nel quale scorre il Rio Magdalena e dove si possono ammirare bellissime incisioni rupestri, La Chaquira, La Pelota e El Purutal, nel quale si trovano gli unici esempi di statue dipinte con colori. Il secondo tour si svolge in jeep e dura 8/9 ore. Si parte dal paese in direzione nord-ovest, fino a raggiungere El Estrecho, punto più stretto nel corso del Rio Magdalena (2,20 metri). Da qui proseguiamo per Obando, più a nord, dove visitiamo il piccolo Museo Archeologico e una decina di tombe sotterranee che ricordano quelle di Tierradentro. Dopo aver attraversato Altos de los Idolos, San José de Isnos, arriviamo, attraverso una dissestata strada panoramica, a Altos de las Piedras, dove, fra tombe e statue, si trova una delle sculture più rappresentative conosciuta come Doble Yo. La statua, alta circa 2 metri, riporta frontalmente due facce sovrapposte. Da qui proseguiamo per il Salto de Bordones, una spettacolare cascata alta circa 400 metri, e poi per il Salto de Mortiño, un´altra bella cascata, meno imponente della prima.

Sulla strada del rientro ci fermiamo in un ingenio, così si chiamano le piccole aziende in cui, attraverso la lavorazione della canna da zucchero, si ottiene come risultato finale la panela. Il processo, quasi sempre artigianale, parte dalla spremitura della canna, il cui liquido, dopo vari passaggi di pulizia, ebollizione e raffinazione, viene lavorato fino ad ottenere la consistenza di una melassa. A questo punto la massa viene collocata in contenitori di legno e lasciata raffreddare. A processo ultimato la panela avrà la forma, la consistenza e il colore di un mattone. In sostanza si tratta di zucchero non raffinato del quale i colombiani, così come venezuelani e brasiliani, fanno un uso smodato, utilizzandolo con il caffè, con il formaggio, oppure come semplice agua de panela, il cui sapore ricorda quello del tè con limone. Il rientro all´imbrunire a San Agustin ci riporta a un´atmosfera un pò più rude e essenziale: nei bar il genere maschile impera, tra cervezas, aguardiente e musica ranchera, per le strade del paese non è raro incontrare vaqueros con sombrero e pantaloni di cuoio, in sella ai loro cavalli, campesinos che rientrano dalla campagna e chivas che partono per le destinazioni più remote.

Tutta quest’area, come altre della Colombia, per quanto ci racconta la gente, fino a due anni fa, era controllata da guerrilleros, e questo rendeva gli spostamenti piuttosto rischiosi. Oggi, con il processo di smobilitazione promosso dal governo del Presidente Uribe, si è arrivati alla resa delle armi di alcune importanti colonne di paramilitari delle A.U.C. (Autodefensas Unidas de Colombia). Per altro verso, l’azione energica della Polizia e dell´Esercito ha allontanato verso zone più periferiche i gruppi guerriglieri della F.A.R.C. (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) e del E.L.N. (Ejército de Liberación Nacional). Proprio per questo, un pò in tutta la Colombia, ma soprattutto nelle strade meno trafficate o aree di particolare interesse strategico, si nota la forte presenza di Polizia e Esercito, con frequenti posti di blocco dove, con estrema gentilezza, si è sottoposti a controllo dei documenti, perquisizioni personali e dei bagagli.

Il 4 gennaio partiamo da San Agustin, intorno alle 7.30 del mattino, a bordo di un esausto autobus che non alberga piú di venti posti. Con poco fair play, e contrastando la pressione sulle fasce laterali di chi vuole scavalcarci, ci aggiudichiamo due dei quattro posti liberi, proprio in coda all´autobus. Giá lo sapevamo, ma anche questa volta non abbiamo possibilitá di scelta ... peró un consiglio, evitate l’ultima fila a “poppa”, soprattuto se é cosí conformata: all’estrema sinistra sul lato finestrino signore con gallina, a seguire corpulenta signora che tracima occupando il vostro spazio aereo, a seguire ancora i due posti da noi occupati e poi, per chiudere la fila, sul lato destro vicino al finestrino, signore con bambina sulle gambe che si alternano sul sedile con posizioni acrobatiche. A questo aggiungete, dietro i vostri sedili eiettabili (eiettabili perché vi scappano da sotto il sedere ad ogni sobbalzo) una tonnellata di valigie che premono sullo schienale cercando di appiattirvi in avanti, mentre lo schienale in perenne avaria del passeggero che vi precede, cercherá di strangolarvi. Come se non bastasse, sopra le valigie, ma soprattutto sopra le nostre teste, incombe una bicicletta e il suo fiammante cambio shimano che, a ogni buca, si avvicina sempre piú ai nostri crani, tentando una lobotomia. Tutto scorre, e cosí tra soste pranzo, controlli dell’esercito e sali e scendi di passeggeri, copriamo i circa 140 km. che separano San Agustin da Popayán. Ci sono volute sei ore per percorrere una strada bianca che crediamo abbia il piú alto numero di buche per metro quadro del nuovo continente. La meta é tanto agognata che, alle porte di Popayán, un rinvigorito gallo, sistemato vicino al chofer (autista), squilla per tre volte segnando la fine del viaggio.

Troviamo Popayán alle prese con il Carnevale, che qui festeggiano in maniera particolare. Ce ne rendiamo conto quando, passando sotto una finestra, ci becchiamo un paio di secchiate di acqua, seguite da una impolverata di talco. Cosí é, vanno avanti per tre o quattro giorni, allagandosi e incipriandosi. Ora, sarebbe anche simpatico in braghe di tela e in riva al mare, ma, appena scesi dall´autobus, con uno zaino da 25 kg. sulle spalle e un altro da 10 kg. sul petto ... non é assolutamente divertente. Anche gli amministratori della cittá cominciano a trovare la cosa non proprio esaltante e, visti i danni subiti e il il grande spreco di acqua, pensano, per la prossima edizione del Carnevale, di chiudere le saracinesche. Con l’Ecuador in mente e all’orizzonte, lasciamo, dopo due giorni, Popayán, per spostarci piú a sud, e raggiungere cosí, dopo 240 km. e sei ore di viaggio, Pasto. Il viaggio, ancora una volta, si snoda tra paesaggi di grande bellezza. Si sale di quota e la Cordigliera diventa piú imponente, con il susseguirsi di montagne, attraversate da profondi canyons sul fondo dei quali si aprono la strada quebradas e rios. Arriviamo a Pasto il 7 gennaio, cioé il giorno dopo la fine del Carnaval de Blancos y Negros, molto rinomato a livello nazionale e certamente piú simpatico di quello “umido” di Popayán. Arriva gente da tutta la Colombia per questa festa di tre giorni (dal 4 al 6 gennaio), durante i quali tutta la cittá si pinta de negro con il carbone e de blanco, con talco o farina, tanto che al nostro arrivo troviamo le strade della cittá coperte di un velo chiaro e scivoloso. Pasto é la capitale del Departamento de Nariño, situata a poco meno 2600 metri sul livello del mare, e con circa 400.000 abitanti. Dopo una serie di telefonate ai vari alberghi, decidiamo di raggiungere il Koala Inn, in pieno centro. L’albergo é vecchiotto peró abbastanza frequentato, pulito, si puó usare la cucina e usufruire del servizio di lavanderia. Nonostante la fondazione risalga al 1537, la cittá non ha conservato, complice anche un teremoto, molto dell’impronta architettonica del periodo coloniale, peró, tra le cose da non perdere, c’é sicuramente una visita al Museo di Arte e Tradizioni Popolari Taminango e all’immancabile Museo del Oro. La cittá sembra un pó piú viva di Popayan e, da una delle due grandi piazze, si puó ammirare, in direzione ovest, nelle giornate di sole, il Vulcano Galeras e la sua vetta a quasi 4300 metri. Ultimamente il vulcano ha dato segni di ripresa dell´attivitá, per cui é vietato l’accesso ai turisti. Pasto é piuttosto famosa in tutta la Colombia per la sua barniz, una sorta di lacca di vari colori che viene utilizzata per decorare oggetti in legno. Si ottiene da un lungo e in parte segreto processo che ha origine con la raccolta della semilla de mopa-mopa, una piccola bacca resinosa di una pianta (appunto la mopa-mopa) che cresce nella foresta lungo il Rio Putumayo.
 
Alcuni giorni dopo il nostro arrivo a Pasto visitiamo La Cocha, una laguna a circa 35 minuti dalla cittá. Saliamo ancora di quota, in una strada panoramica e fortemente presidiata da polizia e esercito. In mezz’ora raggiungiamo il piccolo paese de El Encano, dal quale, camminando per circa 30 minuti si raggiunge la riva del lago e il canale interno e stretto, lungo il quale é situato il muelle (molo). Da qui partono freneticamente le curiose barche in legno coloratissime, che trasportano turisti per un giro verso l’Isla la Corota, ad alcune centinaia di metri dalla riva. Arriviamo alla laguna di domenica e con scampoli del carnevale ancora da smaltire. L’ambiente é curioso: una sequela interminabile di semplici ristoranti a conduzione familiare, all’interno di case con tetti spioventissimi, balconi fioriti, finestre colorate, ponticelli in legno che attraversano il canale. Sembrerebbe un misto tra alpi svizzere e paesaggi olandesi, se non fosse per il fatto che, dal panco montato vicino al pontile, un gruppo musicale spara a tutto volume salsa, reggueton e vallenato, classici ritmi colombiani. L’ambiente é piacevolmente popolare, tra musica, cerveza e le buone truchas (trote), piatto forte della zona. La giornata non é delle migliori e la pioggerellina fitta ci fa optare per un piccolo bar, al di lá del ponticello, dove con piacere troviamo un caminetto in piena attivitá, e del quale approfittiamo per asciugarci, prima di prendere un autobus per Pasto.

Il tempo stringe, tra qualche giorno scadrá il nostro visto turistico in Colombia, e ormai sembra chiaro che la prossima meta sará piú a sud, oltre la frontiera. Il 12 gennaio lasciamo Pasto e, in autobus raggiungiamo Ipiales, ultima cittá colombiana. Non c’é tempo neanche per un breve giro in cittá, per cui dal terminal di Ipiales prendiamo un taxi colectivo che, in circa 10 minuti, ci porta a Rumichaca, posto di frontiera tra Colombia e Ecuador. Facciamo un pó di fila agli uffici del D.A.S. ma, dopo una ventina di minuti, abbiamo il nostro timbro de salida (di uscita) dal paese, sono trascorsi 154 giorni dal nostro arrivo. Con un bel sole caldo attraversiamo a piedi il ponte che divide e unisce i due paesi e, alle 13.55, entriamo ufficialmente in Ecuador .

... ma questa é un’altra storia.
 

Beati Stefano e Donata . . . siamo tutti con voi !!!

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